di Giovanni Maggio
Ieri pomeriggio tre storici di rilievo, l’assessore Leonardo Varasano, il rettore dell’Università per Stranieri, Valerio de Cesaris, e Ruggero Ranieri di Sorbello, presidente della omonima Fondazione, hanno presentato il volume che Stefano Ragni, docente di storia della musica dell’ateneo internazionale ha dedicato a uno degli aspetti meno noti del passato cittadino.

La permanenza per quasi due anni dei militari inglesi a palazzo Gallenga, nel momento in cui ne era rettore il commissario straordinario Aldo Capitini, coincise con l’insediamento dei corsi della Army School of Education, un organismo con cui i britannici, già all’indomani della Grande Guerra, avevano pensato di connettere la vita dei propri militari al prevedibile reinserimento nella vita civile.
Una istituzione che non ha eguali nel contesto delle potenze belligeranti e che caratterizza l’approccio con cui la civiltà britannica ha saputo rapportarsi con i paesi in cui dopo la guerra, si prevedeva un contesto di pace in cui armonizzare vincitori e vinti.
Della attività della Army School che operò all’interno delle aule di palazzo Gallenga ha voluto parlare in maniera approfondita il professor Ranieri che ha ricordato, come negli anni di studio e di insegnamento in Inghilterra, si fosse imbattuto, in una biblioteca londinese, in un ampio faldone di documenti che testimoniavano le fasi della attività svolta nel contesto perugino dagli educatori britannici che rivolgevano a ufficiali e truppa insegnamenti che andavano dalla tecnica, al dramma, alla musica, alla letteratura.

Con un profondo senso di sollievo da parte di Capitini, come ricordava il rettore de Cesaris, che, con la presenza dei corsi, vedeva scongiurato il pericolo del’installazione al Gallenga di un ospedale militare o di altre realtà che snaturassero la destinazione a cui il palazzo era stato destinato dal suo ultimo proprietario, Romeo Adriano Gallenga Stuart.
Che poi nelle sale della dimora patrizia si fosse installato, nel fatidico 1922, il comando operativo della Marcia su Roma, era cosa nota a tutti: il fascismo si appropriò della immagine della Università Internazionale e ne favorì le sorti, senza per questo riuscire a scalfire l’anima internazionale e l’afflato alla cultura e alle arti che Capitini, con uno straordinario processo di defascistizzazione riuscì a concretizzare.
L’assessore Varasano, autore di un testo fondamentale sul fascismo a Perugia, ha potuto così ricordare come la Perugia della liberazione sia entrata nell’età della democrazia, proprio attraverso quella presenza della musica che palazzo Gallenga seppe offrire alla città appena uscita dalle angustie della guerra.

Tratta interamente dai documenti dell’Archivio Storico dell’Università per Stranieri il libro di Ragni documenta la fasi dei concerti domenicali che gli inglesi organizzarono sin dagli ultimi mesi del’44 valendosi delle enormi competenze di un ancor giovane Francesco Siciliani, il musicista che era cresciuto ai corsi per sovrintendenti teatrali promossi dal regime fascista e che era già segretario artistico del teatro san Carlo di Napoli.
Sodale e discepolo di Capitini, a liberazione avvenuta, Siciliani fu nominato titolare di una cattedra di storia della musica e iniziò una fervida opera di insegnamento della fasi fondamentali della storia musicale italiana, rivolgendo la sua divulgazione sia a inglesi che italiani, in tempi in cui l’ateneo era aperto anche i sabati pomeriggio.

Il colonnello Vaughn, comandante della Army School si fece carico della creazione dei concerti domenicali a cui potevano accedere, dietro un biglietto di ingresso, sia militari che civili perugini.
Viaggiando su automezzi militari per strade che si può facilmente immaginare malmesse per i guasti della guerra, gli artisti prescelti raggiungevano la città per essere applauditi in quella aula magna che ancora oggi, come ha voluto ricordare il rettore de Cesaris, è ricetto di ogni sorta di iniziativa musicale cittadina. Si tratta di nomi particolarmente significativi dell’epoca, perchè si parla di Gioconda de Vito, eccelsa violinista, del tenore Petre Munteanu, di Mascha Predit, poi scelta da Luchino Visconti per il suo Morte a Venezia, del violoncellista spagnolo Gaspar Cassadò.

Tra gli artisti perugini Siciliani poteva contare sulla presenza della pianista perugina Piera Brizi e del milanese Tullio Maccogi, che, come si ricordava, è stato il maestro di pianoforte del professor Ragni.
Nel volume sono puntualmente citate le recensioni di ogni concerto che erano curate dal Italo Lippolis, uno dei maestri di quello che diventerà in seguito il Conservatorio Morlacchi. Avvicinandosi la data dell’abbandono da parte dell’Army School della città per un previsto trasferimento in Austria, il colonnello Vaughn, secondo la dialettica inglese di non smantellare ciò che si è faticosamente costruito, pensò di lasciare l’eredità dei concerti domenicali a un gruppo di cittadini volonterosi.
Si arrivò quindi alla costituzione di un Comitato Angloitaliano dei concerti che si dotò di risorse finanziarie attinte a enti cittadini e a generosi contribuenti.
Fino a quando Siciliani destinato a una luminosissima carriera teatrale, lasciò le redini a un personaggio di spessore come Alba Buitoni Gatteschi, figlia di un militare e di una donna tedesca. Si sapeva che nella sua villa aveva ospitato il comando della Wermacht, ma il prestigio della dinastia industriale a cu si era imparentata, fece la differenza.
A lei fu affidata la presidenza della nascente Associazione degli Amici della Musica che, all’indomani della proclamazione della repubblica, la domenica del 9 giugno del 1946, si presentò a palazzo Gallenga, nella aula magna che si configurava come una autentica Betlemme, con il primo dei suoi ininterrotti concerti.
Concerto della rinascita, si potrebbe affermare, che respirava di libertà e di democrazia, ne furono protagonisti gli archi del Quartetto Italiano musicisti ancora giovanissimi, che si avviarono ben presto a una carriera mondiale. La settimana dopo fu la volta di uno straordinario musicista allora conosciuto come pianista: era il rumeno Roman Vlad, nato nel ’19 a Cernauti, educato a Roma alla scuola di Alfredo Casella, che nel suo futuro vedrà sbocciare le sue doti di compositore, saggista, esegeta e direttore artistico.
Il professor Ragni ha tenuto a ricordare come la sua formazione giovanile sia maturata proprio sotto il magistero di Vlad, della cui lezione in qualche modo vorrebbe sentirsi il continuatore.
Accolti nella sala gotica della biblioteca dalla direttrice, Gaia Rossetti, i non pochi presenti hanno potuto anche gustare il ricco contributo musicale offerto dal chitarrista Alessandro Zucchetti