Nel dibattimento, in cui il sindaco Toniaccini si alternava con il suo assessore alla cultura, Piero Montagnoli, non poche sono state le voci autorevoli
Ieri pomeriggio in una aula consiliare del palazzo Comunale dove l’afa ti avvolgeva come un mantello, Franco Venanti ha chiuso la sua mostra che aveva come soggetto “Dall’ordine all’entropia”.
Un tema molto caro al grande artista perugino che, ancora una volta, di fronte al tanto pubblico che lo festeggiava, ricordava come il suo enigma ricorrente, sia “dove ci porta la vita e che significato ha?” “Io sono il mio cervello – affermava ancora il pittore perugino – e intorno al mio cervello ho costruito una vita d’artista. Mi chiamano Maestro, ma tutti siamo Maestri in questo misterioso cammino che chiamano vita. Considerazioni profonde che Venanti ha espresso anche nei suoi ultimi libri, testi in cui preconizza questo dissolvimento della nostra civiltà, attratta da un “buco nero” di energia, l’entropia, che si alimenta della sua stessa sostanza”.
Nel dibattimento, in cui il sindaco Toniaccini si alternava con il suo assessore alla cultura, Piero Montagnoli, non poche sono state le voci autorevoli, a cominciare dal famoso Pingitore, stella della televisione, non nuovo a collaborazioni editoriali con Venanti. L’onorevole Benedetti Valentini a sua volta ha voluto sottolineare come tra le doti di Venanti ci sia l’essenzialità, mentre il professor Donato Lo Scalzo ha accentuato le matrici di ispirazione di Venanti scrittore, facendo cenno alle tematiche espresse da Leopardi nella sua Ginestra. Nella piacevole rievocazione che Francobaldo Chiocci ha voluto fare del suo coetaneo antico compagno di banco al Mariotti, novantadue compiuti anche lui, sono riemersi gli anni della Goliardia perugina, e del giornale satirico La tramontana, pubblicazione che attrasse anche l’attenzione di Longanesi. Erano gli anni in cui Venanti e Chiocci erano temutissimi dai maggiorenti perugini che temevano sempre di essere messi alla berlina nelle fulminanti vignette satiriche.
E di queste ha voluto parlare ancora Venanti, mostrando al pubblico le magliette bianche di recente produzione, che portano impressa la famosa serie degli “uccelli”. Tante vignette per tanti ricordi. Ad assemblea sciolta tutti all’antica fornace Grazia, tre piani in laterizio dove iniziava un percorso che tanto poteva sembrare simile ai Quadri di una esposizione di Musorgskij.
Una “passeggiata” tra le erte e strette scale, con le pareti surriscaldate dal caldo, a cercare la musica di Venanti, a cominciare da quel cardinalone che suona la ciaramella nell’ Omaggio di un perugino al Perugino, al noto “Chiaro di Luna”, un nero funereo che ispira tutt’altro che beatitudine. Un Beethoven rivisto con gli occhi della colpa che la modernità ha saputo imprimere al nostro unico satellite, che, anziché illuminare, sembra accentuare le ombre. Unica nota astratta L’incendio di Perugia, di augustea memoria. Tre le opere appaiono la nude torniture delle modelle tante volte evocate dall’artista, con i guardoni sempre in agguato, ma ci sono anche inquietanti locomotive, quelle che sostavano a Fontivegge, nere e fumanti, circondante da improbabili rinoceronti. Poi, nelle sale al terzo piano, l’entropia, coi suoi vortici di colori.
Quel vortice di cui parla Fernando Javier Lerma, lo storico dell’arte della Università Carolina di Madrid, che ha firmato una interessante guida alla mostra. E parla di Venanti come di un artista che “redime” la pittura assegnandole, ancora una volta, la funzione di una testimonianza di questa attrazione del vuoto in cui tutti, a un certo momento della nostra vita, sembriamo precipitare. Su tutte le opere spicca quella dell’autoritratto, con Venanti in giacca e cappello nero, alza il pennello rosso come la bacchetta di un direttore d’orchestra a sollevare quella musica infinita in cui sono immerse le sue tele.