IL RITORNO DEI VINI NATURALI, 10 ANNI DOPO: primeggia lo charme dei vitigni Umbri con Collecapretta

il Gambero Rosso di giugno rilancia a dieci anni di distanza la vecchia provocazione con una nuova storia copertina: a rispondere anche Vinicio Capossela. Tra i pionieri e 10 nuovi riferimenti da non perdere, con 22 bottiglie da mettere in cantina, la cantina Collecapretta con il suo Trebbiano

Roma, 1° giugno 2023 – Rimanda a Giorgio Gaber la nuova provocazione lanciata da Vinicio Capossela sull’ultimo numero del Gambero Rosso, il primo sotto la nuova direzione di Marco Mensurati: i vini naturali sono di destra o sono di sinistra? La risposta per Capossela è chiara: sono di sinistra e sono talmente buoni da annebbiare le menti degli elettori, allontanandoli dalla politica come Calypso con Ulisse. In Vinicio veritas: “Amore e vino sono due forze che si alimentano” racconta Capossela. “L’amore come la vite ha bisogno di essere guidato, ha bisogno del sostegno per sollevarsi in alto, per arrivare alla luce e prendere forza dalla terra. L’intreccio degli amanti rimanda un po’ a quello della vite che produce frutto”. E a domanda se vino naturale o vino convenzionale risponde: “È un po’ come contrapporre il vinile alle piattaforme digitali. La grande massa del mercato è fatta dai vini convenzionali e non potrebbe essere altrimenti. Un vino naturale non può essere prodotto in grandi quantità e con costi competitivi. E di sicuro non può piacere a tutti. Il vino naturale richiede anche una capacità di accogliere il difetto che fa parte della natura. Il grande Gianni Mura mi disse una volta: ma sei matto a bere vini naturali? Non lo sai che il vino naturalmente diventa aceto? E in effetti spesso c’è una spunta acetosa in questi vini di “fiore e feccia”. Mi rendo conto che ci vuole una abitudine e forse anche una rieducazione al gusto, ma una volta che ci si è abituati non si riesce più a tornare indietro. O almeno a me non è riuscito più”.

A dieci anni da un editoriale che infiammò il settore, la bibbia dei tre bicchieri torna a rifare il punto su un movimento che ha avuto una forza dirompente, anticipando tempi e temi. Il vino naturale è ovunque, anche se per legge non esiste: per il sentire comune indica un vino prodotto da viticoltura biologica o biodinamica, fermentato con lieviti indigeni, vinificato nella maniera meno interventista possibile nel rispetto della sua unicità con una dose minima di solforosa in fase di imbottigliamento.  E la sua storia l’hanno fatta etichette coraggiose e visionarie come Radikon, Gravner, Cornelissen, Occhipinti, Rinaldi, Bellotti, Pepe, Maule, Morganti e Foradori. A loro, che hanno aperto una via maestra al naturale, si aggiungono oggi dieci nuove stelle emergenti: e tra queste, spicca Collecapretta.

Tra i boschi dei Monti Martani su colline mozzafiato che vanno dai 400 ai 550 metri d’altezza a Terzo La Pieve, nel comune di Spoleto si distingue la cantina della famiglia Mattioli che Gambero Rosso descrive così: “la famiglia Mattioli è un altro virtuoso esempio modello di azienda boutique a ciclo chiuso. Non si utilizza chimica in vigna, compost prodotto dagli animali per la fertilizzazione del suolo, fermentazioni spontanee in tini aperti senza controllo della temperatura, solo vasi in vetroresina e acciaio e niente solforosa aggiunta. Fiore all’occhiello una vigna vecchia di Trebbiano che da corpo e gusto al Trebbiano Vigna Vecchia 2020: un mix di leggerezza e profondità, fragranze di tè verde, salvia e noci in un quadro aromatico cangiante e complesso”. 

Siamo alla terza generazione di Mattioli: allevano bestiame (animali da cortile, vitelli e maiali con cui producono salumi) coltivano la terra (grano – da cui ottengono farina e cereali – per l’alimentazione degli animali), producono formaggio, uova, olio e soprattutto questi straordinari vini secondo un modello di azienda a ciclo chiuso. La produzione di vino è da sempre legata alla tradizione: dapprima per autoconsumo familiare come semplice alimento, sano e autentico e dal 2005 la famiglia decide di imbottigliarne una piccola quantità mantenendo la produzione di sfuso. Oggi si coltivano 5 ettari per poco meno di 15.000 bottiglie divise su 11 vini prodotti assecondando da sempre la natura. Niente chimica in vigna, fertilizzazione con compost, fermentazioni spontanee in tini aperti senza controllo della temperatura, illimpidimento e stabilizzazione naturale sfruttando le rigide temperature invernali e niente solforosa. Solo vasi in vetroresina e acciaio, niente legno da botte piccola perché non coerente con la tradizione del luogo. Su suoli prevalentemente argillosi troviamo varietà tipiche del secolo scorso, mantenute e ripiantate per dare continuità a quel passato: Malvasia, Trebbiano Spoletino, Greco, Ciliegiolo, Merlot, Sangiovese e Barbera. 

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Written by Redazione

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