La Radio italiana un pallone gonfiato da indici d’ascolto, a metà strada tra fantascienza e realtà aumentata

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il TER, Tavolo Editori Radio, che è quella specie di organismo convenzionale (più che altro una conventio ad excludendum) vorrebbe farci credere che, nel primo semestre del 2023, abbiano ascoltato la radio una media di 36,605 mln. di individui attenti e coscienti. Avete capito bene, secondo lor signori circa 36 milioni di italici nella piena facoltà di intendere e di volere e senza costrizione alcuna ascolterebbero la radio tutti i giorni. Il TER, da non confondere con il TAR, altra anomalia italiana, pur agendo nella piena legalità, è un’organizzazione che lega soggetti interessati, in maggioranza editori radiofonici, quindi di parte. Sono un radiofonico pentito, adoro la radio come forma mentis e nella più pura espressione, quella coniata da Marshall McLuhan, ossia il «Tamburo Tribale». A scanso di equivoci precisiamo che McLuhan non un è (era) un DJ scozzese o un chitarrista rock americano, ma è stato il padre della moderna massmediologia.

Chi come me ha vissuto all’interno della radio per circa quarant’anni, ne conosce peripezie e contraddizioni, specie nelle realtà regionali dove editori, concessionarie e venditori di spazi pubblicitari sono in continua fibrillazione e sull’orlo di una crisi di nervi. Ricordiamo tutti l’infausta stagione di Audiradio. Io che sono più attempato, rammento come, alla fine degli anni Ottanta, venne fatto fuori dalla solita Massoneria deviata dei media, RADAR, un altro organismo preposto al rilevamento degli indici d’ascolto, il quale risultava più veritiero e meno ridondante: uso tale eufemismo per non dire smaccatamente gonfiato. Attenzione al furbo escamotage del calo dei singoli, a fronte di un aumento complessivo dell’ascolto radiofonico totale; tutto ciò al fine di distogliere il fruitore dal pensare che TER possa essere compiacente e favorire i singoli. Ci troviamo di fronte più ad un’agenzia di marketing che di rilevamento statistico. Va precisato che il tutto ciò che leggerete in basso in merito ai succinti dati, è frutto di un meccanismo piuttosto empirico e non reale, basato su un’approssimazione esponenziale. È bello crederci per chi è coinvolto ed interessato. Gli unici a dissentire, sono i vertici RAI, ma perché non sostengono economicamente l’organizzazione, quindi i canali di Radio Rai vengono posizionati nel fondo della classifica. E questa sarebbe già un anomalia. Il vicedirettore di Radio RAI, Flavio Mucciante, ha contestato la decisione del Tavolo Editori Radio (TER) di pubblicare anche i dati delle reti radiofoniche della RAI, nonostante il ricorso dell’azienda, che ne aveva chiesto la sospensione, mettendo in discussione «l’attendibilità della metodologia e le pesanti distorsioni nell’indagine, a causa di continue e aggressive campagne auto-promozionali da parte di tutte le emittenti commerciali». Prosegue lo stesso Mucciante: «É una pagina triste per il mondo della radio, l’arroganza di TER rischia di provocare gravi danni alla credibilità del mezzo e pesanti riflessi negativi sugli equilibri del mercato pubblicitario». Personalmente, ribadisco, che non si mette in discussione il posizionamento dei vari Net Work radiofonici nazionali e sub-nazionali, ma la quantità di ascoltatori ad essi attribuita, che per capirci andrebbe ridotta di almeno dieci volte: laddove si parla, ad esempio di 3 milioni e rotti nel giorno medio non si arriverebbe neppure a 300 mila ascoltatori giornalieri. Tant’è vero che la TER nell’introdurre le tabelle dei dati fa questa premessa: Le celle evidenziate in rosso indicano stime calcolate su basi campionarie (ossia numero di interviste effettivamente condotte) minori di 24 casi; le celle evidenziate in giallo indicano stime calcolate su basi campionarie (ossia numero di interviste effettivamente condotte) minori di 100 casi.

Per farla breve, tutto ciò significa che per stabilire il numero il numero effettivo (surreale) di ogni singola emittente sul territorio nazionale, ci si basa su un centinaio di telefonate a campione. La statistica è un metodo di analisi dei dati, ma non ha nulla di scentifico, nel senso che mettento due molcole di idrogeno insime ad una molecola d’ossigeno, si produce acqua. I reagenti usati dalla statistica prendono vie diverse più vicine all’alchimia che alla chimica. I radiofonici interessati ti risponderanno gorgoglianti, specie quelli delle prime posizioni: «ma il meccanismo è accettato da tutte le radio che partecipano al rilevamento». Per contro gli ultimi della classe, amareggiati e scontenti, lasciano supporre ardimentose prestidigitazioni e surrettizi sortilegi e fiabeschi incantesimi. Senza mettere in discussione l’onesta e la buona fede di nessuno: nelle radio ci lavora tanta bella gente, molti amici e anche qualche parente, e da questo meccanismo, sia pur fiabesco, dipende il futuro di molti di essi. A questo punto devo ragionare, però, da esperto di comunicazione, da art director e da pubblicitario, dicendo che solo i dati delle radio web, ad esempio, siano reali: lo streaming registra il numero di collegamenti effettivi, che i vari network nazionale nascondono e che nella media non superano mai i 150 /300 mila al giorno (che poi sarebbero quelli reali con una piccola tara ad abundantiam). Si tenga conto che da tali statistiche sono escluse una pletora di radio «naturalmente web», che fanno centinaia di migliaia di ascolti giornalieri. Se si considera, inoltre, che la maggior parte degli apparecchi radiofonici tradizionali siano spariti dalle case, dagli uffici e dai negozi degli italiani e che quindi, chi è interessato alla radio, usa computer, tablet e telefono, ci fa capire che oggi la radio si ascolti prevalentemente in streaming. Il DAB che non ha sortito quel successo sperato e la vecchia FM, sono spesso, ma non sempre, confinati al solo drive-time, ossia limitati a fasce di ascolto in automobile, dove la presenza del sistema multimediale, ha sostituito e soppiantato il tradizionale ascolto radiofonico con pendrive infarcite dei successi del momento (magari scaricati a ufo) o con personali palylist da Spotify et similia o sequenze programmate da YouTube.

Ma ciò che smentisce l’eccedenza di indici d’ascolto gonfiati è la redemption di alcuni prodotti legati a campagne pubblicitarie il cui il costo-contatto è stato estremamente eccessivo a monte dei benefici ottenuti, e dove il risultato finale è pressoché nullo (il messaggio non è arrivato, per capirci). Detto in soldoni, se come committente pubblicitario mi si propone uno sterminato mare magnum di ascoltatori, in base alla fantascientifica statistica TER, quel prodotto o quella campagna pubblicitaria dovrebbe avere dei vantaggi in proporzione e soprattutto commisurati agli investimenti. La delusione di molte piccole aziende, le quali scelgono solo la radio (per necessita, specie a livello locale) non avendo grossi budget da investire, è spesso messa in luce da rilevamenti paralleli effettuati in alcune zone d’Italia dalle stesse aziende, da cui emerge un quadro desolante: nessuno ha mai sentito per radio il loro brand o la loro campagna promozionale, mentre le radio coinvolte nell’operazione lancio avevano prospettato ascolti faraonici e risultati inequivocabili. La radio oggi in Italia paga anche il prezzo di non riuscire ad andare oltre un prodotto mediocre e standardizzato, con le dovute eccezioni, che sovente cozza con la cultura e l’informazione reale. Le radio posizionate in basso nella graduatoria non si rendono conto di essere diventate l’immagine speculare e sbiadita delle prime della classe, la cui meritoria fortuna o successo si basa su alcune primogeniture o idee al principio inedite. Un esempio su tutti: «RDS, solo grandi successi». La formula originale è questa, tutte le altre diventano un surrogato.

La radio italiana, nella media non sa osare, non riesce a proporre nulla di originale, appare bloccata in un limbo di mediocrità, restando un prodotto di scarto della TV, di cui non fa altro che parlare durante tutta la giornata: commenti continui sul Grande Fratello, X-Factor o dell’Isola dei Famosi, l’apparizione taumaturgica di Fiorello a Uno Mattina, le confessioni erotiche di Amadeus, le menate di Sgarbi e Morgan, sognando di diventare come la sorellastra ricca ed epulona, attraverso squallide forme comunicazionali ibride chiamate «radiovisione», che sono un esempio tangibile di telefissazione e di complesso d’inferiorità malcelato e mal proposto, mediante figure anti-estetiche di conduttori per la serie «come magno e me sveglio, vo in TV», personaggi privi di outfit, carenti di un’immagine gradevole che penetri oltre lo schermo. Per non parlare poi del modesto livello culturale dei conduttori, della loro approssimata conoscenza della musica, che non siano le canzonette, di quel loro ostinarsi a ripetere quasi in coro e, roboticamente, in tutte le radio, le medesime sciocche notizie, prese dai soliti siti di curiosità o di fake-news. La radio comunque è quella che è, potete anche credere ai milioni di ascoltatori se siete semplici utenti, ma per il vostro bene non lo fate, se siete investitori pubblicitari, almeno fino a quando i gonfiatori di palloncini non decidano di togliere parecchia aria dalla pompa.

In breve i risultati dell’ultima indagine grazie a newsnetline.it

I primi tre posti: al 1° posto nella classifica del giorno medio che assumiamo a riferimento, troviamo RTL 102.5 , con 5,971 mln di ascolti nel giorno medio (gm) in leggero calo rispetto al periodo omogeneo del 2022 (quindi 1° semestre 2022, quando erano 6,042 mln). Al 2° posto troviamo RDS con 5,584 mln di ascolti nel gm del 1° semestre 2023 (erano 4,867 mln nel 1° semestre 2022). Completa il podio Radio DeeJay con un dato di 5,448 mln di utenti, in forte crescita rispetto ai 4,790 mln del 2022.

Posti 4, 5 e 6: Al 4° posto della classifica del giorno medio del 1° semestre 2023 c’è Radio Italia con 5,059 mln di ascolti (erano 4,530 mln nel 1° semestre 2022), seguita da Radio 105 con 4,452 mln di utenti (un anno fa erano 4,323 mln). Conclude la triade Radio Kiss Kiss, con 3,441 mln (contro i 3,527 mln del 1° semestre 2022).

7°, 8° e 9°: Settima posizione per Virgin Radio con 3,346 mln (erano 2,572 mln nel 1° semestre 2022, quindi migliore performance: + 774.000), mentre l’8^ posto del 1° semestre 2023 spetta a Rai Radio1 con 3,004 mln (che nel periodo omogeneo del 2022 registrava 3,442 mln). Al 9° posto c’è Rai Radio2 con 2,601 mln di ascolti (contro 2,752 mln del 2022).

10°, 11° e 12°: Alla posizione 10 troviamo Radio24 con 2,260 mln di teste (erano 2,294 mln nel 1° semestre 2022), seguite da R101 con 2,251 mln (1,909 mln nel 2022) e RMC con 1,912 mln (1,465 mln nel 2022).

Le ultime posizioni: Dalla posizione 13 alla posizione 18 troviamo rispettivamente M2O con 1,682 mln (1,616 mln nel 2022), Radio Freccia con 1,359 mln (1,269 mln nel 2022), Radio Capital con 1,303 mln (1,369 mln nel 2022), Rai Radio3 con 1,050 mln (1,270 mln nel 2022), Radio Zeta con 954.000 ascolti (731.000 nel 2022) e Rai IsoRadio con 544.000 (618.000 nel 2022).

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