«Soulmates» di Aniello De Sena, un jazz globale, ricco di una solarità e di una napoletanità espansiva, che guarda in molteplici direzioni

// di Fracesco Cataldo Verrina //

Nelle sleeve notes del disco si legge una verità quasi apodittica, ossia «un album jazz può avere tre destini diversi: il primo, e più comune, è venire sepolto anonimamente nella sterminata produzione; il secondo è essere apprezzato nel circuito specialistico, ricevendo più o meno visibilità a seconda della bravura dei musicisti e il terzo è oltrepassare la cerchia degli ascoltatori abituali del jazz». Quella di Aniello De Sena è una visione alquanto realistica, tenendo conto che il jazz italiano si trova ad operare in una realtà piuttosto complessa e frammentaria al contempo, dove molti giovani artisti non ricevono l’attenzione dei media, quasi sempre votati al culto delle divinità straniere. La consapevolezza esternata dal trombettista partenopeo è pari alla sua preparazione, nonché visione d’insieme dello scenario jazzistico contemporaneo, che traspare nitidamente dall’ascolto di «Soulmates», edito da Alfa Music, uno degli album italiani più interessanti apparsi all’orizzonte in questi prima metà del 2023.

Le note di copertina possono dare delle indicazione, ma è l’ascolto del disco che consente al critico di formulare i propri pensieri in merito all’opera in oggetto: «Soulmates» è un concept jazz nell’accezione più letterale del termine, impiantato su una contemporaneità esaustiva e sorprendente, ma memore di una lunga storia che i sei musicisti coinvolti nel progetto dimostrano di conoscere e di apprezzare. La struttura narrativa dell’opera trasuda di una napoletanità fortemente cosmopolita ed aperta, la quale non va intesa come una deminutio capitis, ossia una realtà regionalistica, floklorica o geo-localizzata, ma piuttosto come un’opportunità per il line-up di evidenziare un solarità espansiva e creativa che guarda in molteplici direzioni: un ponte fra Mediterraneo ed Americhe, fra Sud e Nord del mondo, soprattutto le variabili indipendenti e dipendenti che hanno contribuito alla stesura di questo costrutto concettuale coerente sono molteplici. Le parole di Aniello De Sena risultano alquanto esaustive: «Nella composizione, il musicista fa riferimento al materiale che ha a disposizione (note, suoni, rumori, silenzi etc.) e lo organizza secondo un certo linguaggio, di cui conosce i criteri formali. Nel jazz, il prodotto finale dipende poi anche dall’estemporaneità dell’esecuzione, che può condurre molto oltre la base di partenza. Il punto di fuga di questo processo è l’intenzione, in cui il musicista resta se stesso mentre si misura con la propria conoscenza e la propria tecnica, cercando di venirne a capo, e in un certo senso mettendosi a nudo. L’intenzione tradisce quindi l’intimità del musicista oltre il suo controllo e la proietta all’esterno».

«Soulmates», in italiano «Anime Gemelle», si sostanzia attraverso nove componimenti originali tutti a firma del band-leader, tre dei quali condivisi con il chitarrista Michele Caccavale. L’album nella sua variegata narrazione offre suggestioni molteplici: si va Pino Daniele a Eric Dolphy, passando per Coltrane o Miles Davis, arrivando così a Napoli Centrale o nei pressi dei Weather Report. Costituito da Aniello De Sena tromba e synth, Raff Ranieri pianoforte, fender Rhodes e tastiere, Aldo Capasso contrabbasso e basso elettrico, Michele Caccavale chitarra, Francesco Desiato flauto, Marco Fazzari batteria e Ivan Dureve congas, l’ottimo ensemble sa come muoversi agilmente ed in maniera empatica tra arrangiamenti a volte a larghe maglie, altre volte più impervi, distillando un ottimo post-bop contemporaneo, con qualche divagazione fusion o smooth jazz. L’album si apre con «Rainy Day», quasi nomen omen, l’umore è quello tipico di una giornata uggiosa, rischiarata da una piacevole melodia che la tromba di De Sena distribuisce a gocce in maniera pluviale, con notevole intensità e marcate accentazioni soulful, corroborate dal sostegno di tutto il line-up, compatto al servizio del band-leader. «Waiting» è una ballata dai cromatismi cangianti, a volte più accesi, a metà strada tra Miles e Chet, dove la tromba si distende agevolmente sun tappeto accordale fornito e supportato dalla sezione ritmica: suggestivo, nell’interludio, l’interplay tra piano e retroguardia ritmica. «The First» è un’iperbole geneticamente mutevole, fatta di discese ardite e risalite, nonché giocata su una sequenza umorale di tempi cangianti. Quando la tromba sembra lanciare un attacco serrato e tutto in salita sul modello urban-funk, il convoglio si butta a valle creando momenti sospensione, con De Sena che mette la sordina e scava a lungo in profondità, optando poi per un nuovo crescendo in progressione, che ricorda vagamente l’irrequieto Lee Morgan, mentre la retroguardia ritmica non fa sconti comitiva.

De Sena non è un accentratore ed ecco che «Minor Game», con la sua struttura funk-fusion, offre una vetrina espositiva al flauto di Francesco Desiato, per contro in questo habitat anche la chitarra di Michele Caccavale gioca un ruolo decisivo. In «Dedication», un midrange piacevolmente smooth-jazz, il flauto apre la strada al basso elettrico di Aldo Capasso che diventa un vero io-narrante con marcate capacità melodiche, assistito dal suono acidulo per piano Rhodes di Raff Ranieri. In «A New Experience», dopo aver introdotto il tema con la tromba, De Sena lascia il proscenio allo zampillante e fluido pianoforte di Raff Ranieri che implementa il tema con una melodia a presa rapida, forte del sostegno del basso e della batteria che creano un argine perfetto alla progressione pianistica quasi fluviale, mentre dopo un assolo di contrabbasso, che funge da vero spartiacque, la tromba fa la sua ricomparsa in scena fino ad esaurimento scorte. «Blue Canvas» è una ruvida ballata innervata da elementi rock-blues in cui, dopo l’introduzione, la tromba-guida concede alla chitarra di Michele Caccavale lo spazio di esprimere tutto il suo potere apotropaico ed emulcente, fino ad un affilato e acceso interscambio fra i due. «Never Ending Story» è una bordata di energia funkified, dove la tromba di De Sena si libera negli anfratti di una metropoli ideale, tra Napoli e New York, sostenuta dal guizzo felino dei sodali. In conclusione «For My Sister», segnalata come bonus track, è un breve add-on magnificato dal piano con accenti lirici e struggenti, ma la brevità ci porta a pensare che il componimento sia ancora in nuce e non completo. Al netto di ogni indicazione di marcia fornita dal recensore, come sostiene De Sena, «è convinzione che il jazz debba muoversi su un terreno che lascia spazio all’ascoltatore, come qualcosa di immediato, vivibile e quotidiano».

www.doppiojazz.it

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